storia della confezione


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Storia Max Mara


Progetto che Achille Maramotti avvia nel 1951, grazie al suo forte spirito imprenditoriale coadiuvato dall'esperienza sartoriale familiare, poichè la nonna Marina Rinaldi era una sarta provetta e sua madre Giulia Fontanesi avviò una scuola di taglio/cucito.
Grazie ad una permanenza in Svizzera ha modo di conoscere i metodi di scomposizione del lavoro utilizzato nelle industrie di confezione.
Maramotti comprende che attraverso essa era possibile realizzare un prodotto di moda in tempi minori, dunque produrre un capo industriale dalle proprietà sartoriali con un minore costo di produzione.
Suo obiettivo primario divenne: realizzare abbigliamento femminile confezionato attraverso l'impiego di macchinari "sapienti" ottenendo una
qualità standardizzata.



Campagna pubblicitaria Max Mara dell'AI 57/58

Schizzo Max Mara AI 71/72, stilista K. Lagerfeld

Cappa Max Mara AI 71/72, stilista K. Lagerfeld (photo Bodha D'Erasmo)

Successo repentino, grazie alla concentrazione sulla creatività stlistica e sul progresso industriale. Infatti, nel 1951 produce 500 capi, nel 1952 5000 capi e nel 1953 le unità prodotte sono 15000 .
Questo risultato fu possibile grazie alla lungimiranza di Maramotti, convinto che usciti dalla guerra si sarebbero abbandonate le botteghe dei sarti per vestire abiti di produzione industriale; ma anche perchè egli fu tra i primi ad
applicare l'informatica alla gestione del magazzino, potendo così programmare la produzione in tempo reale, evitando le giacenze di magazzino.

Viaggiando nuovamente tra il 1958 e il 1963, attinge dalle tecniche industriali americane, importandole e imponendosi di seguirle.

La crescita dell'azienda in toto è stata possibile mantenendo nel tempo alto il livello di "qualità standardizzata".

Schizzo Max Mara, cappotto della collezione AI 81/82

Cappotto Max Mara AI 81/82, (photo Bodha D'Erasmo)

Tra i diversi business-case presi in considerazione, la Max Mara risulta un caso emblematico.
Innanzitutto perchè è stata in grado di superare la crisi di comparto avviatasi tra la fine degli anni Sessanta e l'inizio degli anni Settanta, per mano degli operai.
Attraverso un
modello relazionale cooperativo mostrato alle risorse, l'azienda si riprese evidenziando sensibilità e cura del personale, percependo questo come il motore di una produzione numerosa e dagli standard qualitativi elevati.
Questa filosofia, ha permesso all'azienda di
trasformare un prodotto industriale in griffe, mostrando nuovamente la sua eccezionalità (dato che nella più parte di realtà aziendali il processo è inverso).
Guardando al contemporaneo, rivela una
grande attenzione per il suo patrimonio culturale aziendale, dimostrando ancora lungimiranza, vedendo in esso il futuro del fashion system.
In funzione di questa consapevolezza è bene sottolineare la creazione, dal 2003, del BAI (Biblioteca e Archivio d'Impresa).

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